Il testo integrale dell’intervento del Consigliere Francesco Iandolo durante il Consiglio Comunale Straordinario del 7 ottobre 2019.


Presidente, Sindaco, Assessori, Consigliere e Consiglieri, gentili ospiti,

ci troviamo oggi a discutere in Consiglio Comunale dell’allarme criminalità in città.

Un allarme arrivato in seguito ai numerosi episodi inquietanti che sono avvenuti nelle ultime settime e di cui già se n’è discusso in precedenza.

Ma sarebbe una ricostruzione miope, o comunque incompleta se pensassimo che la camorra sia arrivata in città – praticamente – l’altro ieri.

Per non voler tornare indietro ai giorni, ai mesi e agli anni dopo il  23 novembre 1980 , quando la comunità contava i danni e i morti qualcun altro – come avvenuto, purtroppo, anche durante gli ultimi terremoti – iniziava ad annusare affari d’oro, mentre Avellino lasciava le porte d’ingresso della città e della provincia spalancate a mafie autoctone e di altri territori sfruttando, troppo spesso, professionalità locali che hanno impoverito il territorio e la sua comunità con la complicità di un pezzo di classe amministrativa, politica e imprenditoriale.

Questo ha prodotto una crescente sfiducia dei cittadini nel contrasto a questi fenomeni. Cittadini che si sono assuefatti alla presenza della camorra, per fortuna sempre poco eclatante in città, al contrario di quanto avveniva in altre zone della provincia, a pochissimi km dal capoluogo.

Arriviamo ai primi anni 2000. Nel 2006, mentre era in corso il cantiere per il rifacimento di Corso Vittorio Emanuele di Avellino, il salotto buono, in pieno centro città un escavatore veniva incendiato come atto intimidatorio, pochi giorni dopo che lo stesso episodio era avvenuto in un altro cantiere di Via Circumvallazione.

Lo stesso periodo in cui Mauro Cioffi veniva ucciso in Via de Concilis con un colpo di pistola durante una discussione particolarmente violenta. Liti che si ripetevano e si sono ripetute frequentemente nel tempo tra bande di ragazzi, non sempre distanti da ambienti criminali.

Tra il 2007 e il 2011 l’incredibile escalation delle estorsioni ai danni dei Mak P, le feste organizzate dai ragazzi negli ultimi giorni di scuola.

Ancora nel 2008, a Ospedaletto il pizzo sulla vittoria del superenalotto, dove molti vincitori sono stati raggiunti dalla richiesta, così come accertato dalla magistratura, dei clan cava e genovese.

E ancora nel 2009 e nel 2014 gli arresti a Sperone prima e Ad atripalda poi di due importanti latitanti dei clan russo e lo russo.

Ma le attività della Magistratura e le dichiarazioni di alcuni collaboratori hanno acceso la luce anche sull’affaire bancarelle degli anni scorsi quando addirittura non c’era bisogno che i clan si muovessero a chiedere il pizzo, erano stesso gli organizzatori a “chiedere il permesso di poterle fare con tanto di ricompensa economica”.

Lo stesso affare che – probabilmente – fu causa della bomba carta esplosa sotto casa dell’ex sindaco Galasso nel 2012.

Dal 1999 – da quando la DIA fa le proprie relazioni semestrali – si parla degli interessi dei clan dell’hinterland avellinese – e non solo – su Avellino città. Poche righe, ma che fanno chiaramente i cognomi delle famiglie e dei clan che da sempre cercano di mettere le mani sul nostro territorio e che – seppur in forme diverse – molto spesso grazie agli arresti e alle indagini, sono rimaste uguali nel tempo.

Eppure oggi tutte le informazioni che davamo per assodate, per quanto riguarda alleanze, faide, scontri, interessi e traffici, non possono essere date per scontate. Ho difficolta a collocare questi atti e questi gesti in spazi e alleanze ben definite. Perché e evidente che qualche equilibrio sia saltato e che in questa riorganizzazione ci sfugga qualcosa, che sicuramente non sarà sfuggita alle forze dell’ordine e alla magistratura.

Perché, se la possiamo definire una fortuna, Avellino non ha dei gruppi di spicco, ma ha piccoli gruppi alleati ai grandi clan che troppo spesso hanno avuto vita facile anche in questo palazzo, entrando a loro piacimento e ponendo e disponendo delle proprie volontà con i metodi che conosciamo tutti, quelli dell’intimidazione e a volte della violenza, accompagnati dall’indignazione di pochi, dal silenzio di molti e dalla connivenza di alcuni.

Allora la camorra in città, purtroppo, non è un fatto nuovo. È un fatto nuovo, o almeno rinnovato, l’escalation di violenza che ci ha visti protagonisti negli ultimi tempi.

Abbiamo perso tempo, troppo tempo, ad affrettarci a dire che la nostra era un’isola felice; un tempo che ci è costato in organizzazione delle istituzioni e della società civile, in indignazione da trasformare in impegno.

Un tempo dove la politica arriva sempre dopo rispetto alla magistratura, e questo non è un bene.

Perché se c’è una cosa che ho imparato dalla mia esperienza di impegno civile è che non serve la repressione  fine a se stessa e non serve l’immane sforzo e sacrificio delle forze dell’ordine e della magistratura se non è accompagnato da un consenso sociale diffuso e dalla partecipazione attenta e costante dei cittadini.

E i cittadini, la prima cosa di cui hanno bisogno non è né una rassicurazione né un allarmismo. I cittadini hanno bisogno di risposte concrete e hanno bisogno di vedere che le istituzioni, tutte le istituzioni dello stato fanno squadra.

E poi i cittadini hanno bisogno di parlare, per condividere le proprie preoccupazioni, per costruire relazioni, per organizzare quelle risposte sociali di cui una città ha bisogno.

Rifiuto, infatti, che oggi si parli di emergenza sicurezza. No, oggi, se c’è un’emergenza, è sociale e noi a questa siamo chiamati a dare risposte.

Allora, se non dobbiamo stupirci, dobbiamo quanto meno indignarci che un Assessore di questo comune sia stato aggredito in maniera barbara e dire che questo atto non ammette sospensioni di giudizio, senza se e senza ma, senza favorire il clima di sospetto su chissà perché e per quale motivo, come pure e stato fatto.

Non è un caso che l’associazione Avviso Pubblico rende noti gli amministratori sotto tiro, tutti quelli che dal 2010 sono stati oggetto di minacce e intimidazioni mafiose e criminali

Non dobbiamo forse indignarci che un ex consigliere che non più di un anno fa sedeva tra questi banchi sia stato arrestato con accuse gravissime e che, anche terminato il suo mandato di amministratore, entrava e usciva da questo palazzo accogliendo persone e indirizzandole ai vari uffici?

Per prima cosa dobbiamo tutti essere concordi nel dire che condanniamo con forza gli atti che sono accaduti nelle scorse settimane e che la nostra città non è un luogo dove le mafie possano operare indisturbate.

Non solo: che rifiutiamo non solo gli atti ma la cultura mafiosa che non ci appartiene e che dobbiamo impegnarci per arginare in quei luoghi dove si alimenta, a causa del disagio sociale e della presenza mafiosa fatta di presenza, intimidazione e controllo del territorio.

Una cultura mafiosa che si combatte mettendo in campo anche una buona amministrazione, non sbandierando ai quattro venti un palazzo di vetro, ma togliendo la terra fertile alla proliferazione delle mafie.

Una cultura che va alimentata tra i più giovani, nelle scuole, nelle piazze, incentivando i luoghi di ritrovo, riaprendo finalmente quelle ex circoscrizioni che devono diventare cuori pulsanti delle comunità nella nostra città. Luoghi dove favorire l’incontro, la relazione, la progettazione per la città del futuro. E ancora le scuole con le quali stimolare progetti di educazione alla cittadinanza, ai diritti e alla giustizia sociale.

Le periferie e i quartieri non possono essere solo i luoghi dove andare a cercare voti, ma devono essere i luoghi della rinascita. Andiamo subito a Rione Mazzini e, se ce n’è bisogno, convochiamo lì un Consiglio Comunale. Per ascoltare, prima di tutto, per raccogliere le preoccupazioni della cittadinanza, per costruire con loro dei percorsi collettivi di riscatto. Non basta promettere nuovi alloggi popolari, più dignitosi; l persone, soprattutto le fasce più deboli hanno diritto ad essere educati alla cittadinanza e alla partecipazione.

Sono loro a dover difendere le istituzioni democratiche perché certi che non sono a tutela di piccoli interessi di parte ma promotori degli interessi di tutta la comunità.

Certo, può essere difficile dirlo guardando a testa alta la città per chi in quegli stessi quartieri e andato accompagnato da persone che non garantiscono quella trasparenza che è richiesta a chi amministra; oppure che hanno stretto la mano a promesse impossibili da mantenere senza compromettere l’integrità dell’amministrazione stessa.

Questo è il momento dell’unità e della responsabilità collettiva e condivisa.

E allora dovremmo tutelare quelle realtà associative e sociali che si occupano di favorire la socialità della nostra comunità. Tutte, cercando di favorire le loro legittime attività statutarie, favorire e non ostacolare, né indebolire né tanto meno dettare loro l’agenda. Credo che il nostro compito sia ascoltarle con maggiore attenzione e senza fini utilitaristici.

E 30mila persone lo scorso 21 marzo sono scese in piazza da tutta la regione per dire che anche le mafie che non sparano preoccupano; anche quelle che non si sentono fanno affari; anche i territori che sembrano immuni, non lo sono.

Poi alla politica spetta individuare le priorità di azione e richiedere la collaborazione a tutti gli attori, istituzionali, pubblici, privati e sociali che vogliano collaborare al raggiungimento di queste finalità.

Abbiamo, quindi, bisogno di mettere più coraggio, un coraggio che ci viene dal lavoro di rete.

Una rete di enti locali, quella di Avviso Pubblico, nata nel 1996 che oggi raccoglie più di 300 enti locali e regioni per la formazione contro le mafie.

Un’associazione che si occupa di informare, formare, progettare e per la diffusione di buone prassi.

Una rete a cui propongo con una mozione di aderire perché rafforza le azioni compiute sul piano locale.

Se pensiamo che la camorra, questa camorra sia un problema solo di Avellino, sbagliamo.

Se pensiamo che la questo problema possiamo affrontarlo da soli con le nostre forze, sbaglieremo allo stesso modo.

E allora apriamoci all’esperienza di tanti enti locali che fanno della lotta alle mafie la priorità della propria azione amministrativa, impariamo da loro, impariamo con loro a diventare una città libera dalle mafie. Ci prova con grande impegno, coraggio e fatica tutti i giorni Casal di Principe, ci dobbiamo provare e riuscire anche noi.

Perché questo non deve essere un punto dei prossimi 100 giorni di amministrazione, come d’altronde non lo è, dato che stamattina non l’abbiamo letto dai resoconti della conferenza stampa. Ma, a prescindere da tutto, sarebbe dovuto essere il primo punto dei 100 giorni scorsi: la priorità.

Perché le mafie non fanno solo gesti intimidatori, non seminano solo paura, ma tolgono la liberta ai cittadini, fanno concorrenza sleale alle imprese, minano l’economia e la democrazia del nostro paese.

Allora come primo atto istituiamo subito una Commissione Speciale Consiliare, ai sensi dell’art 32 del regolamento delle commissioni consiliari, che possa istruire lavori e audizioni per migliorare l’azione amministrativa e sociale.

Intensifichiamo i controlli sugli appalti, con un’attenzione particolare ai subappalti.

Diventiamo un’amministrazione modello nella lotta alla corruzione, implementiamo le misure per i whistle blowers e rendiamo il piano triennale anticorruzione semplice e alla portata di tutti, dei cittadini, dei dipendenti e degli amministratori che sono chiamati a eseguirlo e a controllarlo, anche con una formazione continua e costante.

Dotiamoci una carta dei servizi seria e stringiamo un patto nuovo tra cittadino e amministrazione.

E poi partiamo da noi. Invierò a tutti i consiglieri la Carta di Avviso Pubblico, un codice etico fatto non di tanti buoni propositi e belle intenzioni, ma un documento che prevede anche divieti e sanzioni che vanno dalla censura alle dimissioni. Ciascuno può firmarla singolarmente, ma sarebbe bello che fosse un impegno comune e condiviso da tutti.

Se il nostro paese è arrivato a un senso di consapevolezza tale della presenza delle mafie e della relativa lotta, lo dobbiamo alla memoria delle vittime innocenti. Loro, le vittime innocenti, insieme ai loro familiari non sono eroi, ma cittadini che hanno pagato un prezzo troppo alto, anche nella nostra città, anche nella nostra provincia. Il loro sacrificio serve solo se ci ricorda tutti i giorni di impegnarci di più per dare giustizia a queste morti assurde e per alzare il livello di attenzione affinché queste non accadano più.

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